L’epica di Achille e quella di Luke Skywalker

L’epica di Achille e quella di Luke Skywalker

di Stefano Stefanel

            C’è una distanza profonda tra la scuola e la realtà contemporanea e non se ne viene a capo. L’idea che le cose lontane siano più utili di quelle vicine a creare apprendimento finisce per allontanare la didattica dalla realtà contemporanea, senza creare alcuna domanda sul perché sia facile apprendere attraverso contenuti lontani piuttosto che attraverso contenuti vicini. Inizio con questo contributo una serie di ragionamenti su alcuni elementi dell’apprendimento che mi si sono chiariti man mano che si avvicina il mio tempo di uscita dalla scuola.

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            L’Epica è un concetto non una singola vicenda. Se rimangono saldi i due archetipi principali (Iliade e Odissea), tutto il resto è piuttosto mobile : Orlando Furioso e Gerusalemme Liberata non sempre incontrano l’attenzione che forse meritano, mentre personaggi che cinquant’anni fa popolavano l’idea di epica dei tempi,  come il Cid Campeador, Ivanhoe, Robin Hood ora paiono un po’ acciaccati. Rimane intatto il fascino, non completamente epico de L’Isola del tesoro di Stevenson, anche se forse qui ho una prospettiva un po’ falsata dal fatto che quello è libro che in assoluto mi piace di più.

            L’Epica sta sempre dentro un’idea semplice e la sua grandezza è proprio nella sua semplicità, che produce una grande complessità narrativa, psicologica, etica senza alcuna complicazione. Perché l’epica introduce al pensiero complesso senza essere complicata, altrimenti è qualcos’altro. L’Iliade dura poche giornate e in realtà racconta di come Ettore provoca Achille, che si era già arrabbiato con i suoi, e va a sfidarlo quasi alla ricerca del suo drammatico destino. La sfida tra Ettore e Achille si gioca su più piani, ma quando arriva la resa dei conti non c’è speranza per l’eroe più debole. L’Odissea ruota attorno alla debole e dubbia volontà di Ulisse di tornare a casa, anche se poi lo fa e, quasi controvoglia, riprende il suo posto: eroe molto moderno, Ulisse si attarda, studia, ricerca, sperimenta, ozia e poi torna a casa. Fa un lungo viaggio fino alla soluzione del problema. L’epica dunque racconta storie semplici, ma apre dei mondi. E certamente Ajace Telamonio è un grande eroe sconfitto, ma la sua epica non è riuscita a penetrarci come quella di Achille e di Ulisse: il suo suicidio è stato derubricato a dramma. Achille prima e dopo l’Iliade non ha goduto di buona fama, mentre Ulisse già nel Filottete aveva dato una imbarazzante prova della sua onestà.

            Nel corso degli anni alcune epiche spariscono dalla nostra attenzione, altre tornano all’evidenza in maniera prepotente e quindi I tre moschettieri o I Nibelunghi alla fine accompagnano le epoche in maniera non sempre costante. Ci sono però anche grandi epiche senza cantori come quella del Far West, dove né vincitori né vinti hanno prodotto una grande letteratura, ma solo un immaginario.  E il nostro interesse per l’epica dei samurai giapponesi o per la Bhagavadgītā e i dilemmi di Arjuna poco ci interessano, mentre l’epica biblica, non si sa perché, si stata declinata come teologia.

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            Se ci spostiamo dalla critica letteraria alla pedagogia possiamo dire che per i bambini e i ragazzi l’epica è importante e deve essere compresa nel suo essere lo specchio di un’indagine attraverso il racconto. L’epica aiuta a crescere, a sognare a immaginare. Dunque deve essere insegnata e appresa. L’importante non è, però,  conoscere le singole storie o i singoli contenuti, ma saper leggere l’epica a capirne l’essenza. Anche Edipo Re ha elementi di epica, ma il suo reale valore sta altrove. E anche Per chi suona la campana di Ernest Hemingway è epica, ma ci vuole molta cultura per comprenderne l’essenza. Diciamo che alla base di ogni epica c’è comunque la guerra e comunque almeno azioni di “cappa e spada” che, probabilmente, solo ne I tre moschettieri di Alexandre Dumas hanno raggiunto l’apice. D’altronde si può sopravvalutare l’Eneide finché si vuole, ma la sua storia è debole e la sua profondità un po’ noiosa. Sarebbe anche interessante valutare se I promessi sposi sono anche un libro di epica, anche se in quel libro non c’è la guerra, ma solo un po’ di “cappa e spada”, insieme a molto altro.

            Proprio perché è importante agganciare l’attenzione dei giovani non mi è chiaro perché si inizi sempre dalla strada più difficile (Iliade e Odissea) senza porsi mai il dubbio che forse un aiuto alla nostra pedagogia potrebbe venire all’alzare un po’ lo sguardo sulle due grandi epiche nate nel novecento, che sono Il signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien e Star Wars di George Lucas. Anche queste due epopee di valore planetario ruotano attorno ad una storia semplice piena di complessità, ma priva di complicazioni. Il Signore degli Anelli narra il viaggio di hobbit e fantasiosi guerrieri attraverso la Terra di Mezzo per usare l’anello e togliere il potere a Sauron, l’Oscuro Signore di Mordor, che si manifesta come un occhio. Il viaggio di Frodo Baggins, l’anello, Gollum si intrecciano su creature mostruose e pericolose, poco o per nulla umane, ma con una certa affinità con l’uomo. Star Wars racconta i destini della galassia racchiusi nei DNA di una famiglia e di qualche amico o sodale: Anakin Skywalker diventa Darth Fener e i suoi figli Luke Skywalker e Leila lo combattono senza sapere che è  il loro padre, aiutati da ciò che resta dei cavalieri Jedi (Yoda, Obi Uan Ken Obi e poco altro).  Tutto semplice e complesso: le galassie che si fanno la guerra ma il destino passa da una sola famiglia. L’epica è così: pochi eroi di cui uno principale, poche complicazioni, ma una complessità di rapporti che bene viene illustrata da Athos e Milady, che un tempo sono stati marito e moglie. Le due saghe epiche del novecento poi fanno convivere eroi e mostri e gli eroi spesso sono mostri (gli hobbit possiamo definirli mostriciattoli).

            Sia Guerre Stellari, sia Il signore degli Anelli non sono certamente tra le saghe che i nostri studenti oggi frequentano di più. Inoltre, non è dato sapere se tra 500 o 1000 anni ancora ci si ricorderà di loro. Poco male: oggi le loro tracce sono dappertutto e sono facilmente rinvenibili. Ulisse e Obi Uan Ken Obi sono raggiungibili sul web da qualunque bambino di sette anni (a cui il genitore lascia in mano lo smartphone in pizzeria perché non disturbi gli adulti che parlano di calcio). L’epica non ha una gerarchia, ma ha una sua genealogia culturale che va tenuta in considerazione. A scuola si considera nobile raccontare le gesta di Achille o di Enea, ma – chissà perché – non quelle di Luke Skywalker o Frodo Baggins. Come se Achille fosse stata una persona più nobile e abbia ammazzato meno gente di altri.

            Quindi credo che una riflessione possa almeno nascere, anche perché esiste un’epica cinematografica che attraverso gli spin off fa quello che l’epica greca ha fatto con il mondo del loro passato. E in realtà questo lo ha fatto anche Manzoni, riesumando un Seicento poco romantico e intersecando una storia di “cappa e spada” con storia psicologiche e un’idea di modernità tutta intellettuale e non d’azione. Se ci si pensa, comunque, le Termopoli e Fort Alamo sono due epopee della sconfitta che hanno generato grandi immaginari, ma non una grande epica, perché comunque l’epica nasce sulla vittoria. Queste però sono considerazioni già sottili e vorrei fermarmi qui. Perché per spiegare l’epica ai nostri giovani studenti si ricorre all’epica lontana e non a quella vicina? Perché la nostra realtà fa paura alla scuola?